il 17 luglio era il nostro ultimo giorno completo su Aotearoa. Su Rotorua pioveva ancora ma avvicinandosi ad Auckland il cielo si è aperto, lasciando spazio ad un morbido sole che ci ha scaldato fino a farci togliere il maglione in pile (e per Federica vi assicuro che si tratta di un evento eccezionale). Le emozioni di quel giorno sono state tutte negli occhi e molto legate al senso di disagio che si faceva strada in noi mano a mano che prendevamo consapevolezza della partenza definitiva dell’indomani. Alcune di queste emozioni siamo riuscite a fermarle un poco sotto forma di fotografia, come la Sky City vista sorgere dall’altro lato della baia, correndo sulla Motorway 1, oppure Auckland distesa infinita alle pendici del cratere sacro, sulla cima dell’Auckland Domain. Altre volte putroppo non ho avuto la prontezza di imbracciare la ormai collaudata FZ50, come quando, fermo al distributore, ho visto sfilare una banda di motociclisti Maori, completamente vestiti di nero e seguiti da un’auto nera, che parevano usciti dal set di “Once were warriors”. Guardandoli ho realmente sentito sulla schiena il vento di Jack la Furia.
Quel 17 luglio abbiamo goduto della bellezza multietnica ed ultramoderna della Queen Street e sentito la nostalgia dei pascoli di pecore. Mentre scrivo mi rendo conto che un pezzo di cuore, una parte di ciò che chiamiamo casa, sia rimasta per sempre in Nuova Zelanda. L’uomo primitivo, il discendente dei primati, sarà anche nato in Africa, credo però che Adamo ripensando al perduto Eden ricordasse Aotearoa.